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Corte d'Appello di Bologna > Giusta Causa
Data: 13/08/2009
Giudice: D'Amico
Tipo Provvedimento: Sentenza
Numero Provvedimento:
Parti: G. MARCO / AUTOSTRADE PER L’ITALIA SPA
LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA - ELEMENTO FIDUCIARIO – RILEVANZA DEI COMPORTAMENTI EXTRA-LAVORATIVI – RILEVANZA DELLE PREVISIONI DEL CCNL - POSSIBILTA’ DI CONVERSIONE IN GIUSTIFICATO MOTIVO


Art. 2119 cod. civ.

Art. 51 del C.C.N.L. per i dipendenti dell'industria piastrelle e refrattari

LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA - ELEMENTO FIDUCIARIO – RILEVANZA DEI COMPORTAMENTI EXTRA-LAVORATIVI – RILEVANZA DELLE PREVISIONI DEL CCNL -  POSSIBILTA’ DI CONVERSIONE IN GIUSTIFICATO MOTIVO 

Nel corso di una cena aziendale organizzata per festeggiare il buon andamento della produzione dello stabilimento, il sig. YY rivolgeva all'indirizzo dell'allora amministratore delegato e vice Presidente del Consiglio di Amministrazione della società datrice di lavoro le seguenti frasi: "fatti vedere in fabbrica anche adesso che le cose vanno meglio visto che fino a poco tempo fa eri in stabilimento solo per spaccare i maroni", "tua moglie [...] mi fa pena per avere in casa un marito così spacca balle", "visto che non ti fai più vedere in stabilimento manda almeno tuo padre al tuo posto".

Per questa ragione il dipendente veniva dapprima sospeso cautelativamente e successivamente licenziato per giusta causa, licenziamento che il Tribunale di Modena dichiarava illegittimo: di qui l’appello della società, la quale   lamenta che il Tribunale (che non avrebbe nemmeno indicato gli elementi e le condizioni ostativi alla riqualificazione del licenziamento in termini di giustificato motivo soggettivo provvedendo d’ufficio alla correlata conversione), avrebbe nonostante il riconosciuto carattere ingiurioso delle frasi pronunciate (peraltro esprimenti disprezzo "per il chiaro intento allusivo agli organi genitali" e comportanti discredito del ruolo anche istituzionale del proprio legale rappresentante), ricondotto all'allentamento dei freni inibitori determinato dall'abuso di alcool il comportamento del lavoratore e ritenuto sproporzionata la sanzione espulsiva, senza attribuire rilievo all'inesistenza di rapporti confidenziali tra i partecipanti alla cena e del millantato rapporto di amicizia nonché alla reiterazione di parole offensive erroneamente riguardate come un'unitaria condotta non sintomatica di "mancanza di educazione e correttezza" da parte del dipendente.

La Corte d’Appello di Bologna respinge il ricorso confermando l’illegittimità del licenziamento in base ai seguenti ragionamenti.

In primo luogo i giudici bolognesi prendono in esame la categoria della “fiducia” il cui venire meno legittimerebbe il recesso, accogliendo una nozione di fiducia di contenuto rigorosamente "oggettivo" non riconducibile, neppure in astratto, alla sfera soggettiva ed arbitraria del datore, o peggio ad un atteggiamento psicologico e personale nei confronti del lavoratore, ma ancorata a comportamenti o fatti oggettivamente gravi e valutabili in concreto".

Il venir meno dell’elemento fiduciario, secondo la Corte, sussiste – secondo un significato di matrice codicistica (art. 1564 c.c.), id est la fiducia nei successivi adempimenti – quando il datore non può più fare affidamento sull'esattezza degli adempimenti futuri; tanto che la continuazione della prestazione potrebbe costituire un pericolo per l'incolumità delle persone, gli impianti o per il regolare svolgimento dell'attività lavorativa".

Per accertare la lesione della fiducia, secondo il S.C., inoltre sono da considerare i riflessi e le ricadute dei fatti esterni e/o estranei nell'ambito specifico del rapporto e nel luogo di lavoro: i fatti diversi dall'inadempimento contrattuale integrano una giusta causa di recesso "purché producano effetti riflessi nell'ambiente di lavoro", ovvero siano idonei a "scuotere la serenità e normalità dei rapporti di colleganza tra i lavoratori e di collaborazione tra questi ed il datore" (Cass., 3-2-1994 n. 1086; Cass., 8-2-1993 n. 1519).

Uno speciale rilievo è attribuito anche alla posizione professionale e alle specifiche mansioni svolte dal lavoratore facendosi coincidere l'attitudine a ledere la fiducia con il giudizio d'inidoneità professionale (v. Cass., 16-5-1998 n. 4952; Id., 8-3-1998 n. 2626; Cass., 15-1-1997 n. 360; Id., 8-2-1993, n. 1519; Id., 3-3-1992 n. 2574; Id., 23-5-1991 n. 6180) con la conseguenza dell'impossibilità di proseguire il rapporto [ad es., "il carattere elementare delle mansioni svolte [...] e la loro collocazione ai più bassi livelli dell'organizzazione aziendale" sono ritenuti idonei ad escludere l'incidenza di fatti, pur se gravi, sul vincolo fiduciario - Cass., 22-11-1996 n. 10299; v. anche Cass., 14-7-2001 n. 9590 e Cass., 4-9-1999 n. 9354 secondo cui "i comportamenti tenuti dal lavoratore nella sua vita privata ed estranei perciò alla esecuzione della prestazione lavorativa, se in genere sono irrilevanti, possono tuttavia costituire giusta causa di licenziamento allorché siano di natura tale da far ritenere il dipendente inidoneo alla prosecuzione del rapporto lavorativo - cioè all'esatto adempimento delle future prestazioni - specialmente quando, per le caratteristiche e peculiarità di esso, la prestazione richieda un ampio margine di fiducia (cfr. in questo senso Cass. 3 aprile 1990 n. 2683, 23 maggio 1992 n. 6180, 10 ottobre 1995 n. 11500)"].

La S.C. ha chiarito che la valutazione dei riflessi endocontrattuali dei comportamenti extra-lavorativi è da operare con riferimento non già ai fatti astrattamente considerati, bensì tenendo conto delle connotazioni soggettive ed oggettive dei comportamenti, con particolare riguardo al contesto ambientale, dei motivi che hanno ispirato l'azione e dei suoi effetti, dell'intensità del dolo e della colpa, della qualifica o qualità dei soggetti attivi o passivi di detti comportamenti [occorre tenere conto "della natura e qualità del singolo rapporto, della posizione delle parti, delle mansioni espletate, nonché del particolare grado di fiducia connesso alla struttura dell'impresa o alla qualifica rivestita, e valutare quindi se la mancanza commessa, per le sue modalità soggettive ed oggettive, si riveli così grave da compromettere la .fiducia del datore di lavoro circa la esattezza delle future prestazioni lavorative del dipendente e da non consentire pertanto la prosecuzione del rapporto": Cass., 18-10-1986 n. 6157; Id., 4-7-1989 n. 3194; v., in generale, anche Cass., 27-11-1999 n. 13299 e Cass., 21-11-2000 n. 15004 che ha precisato che "per la struttura del rapporto (che si protrae nel tempo) e per la funzione della fiducia (che emerge solo nella prospettiva di questa protrazione), assume determinante rilievo la potenzialità, che ha il fatto addebitato, di porre in dubbio la futura correttezza dell'adempimento (ex plurimis, Cass. 27 Novembre 1999, n. 13299)" aggiungendo che "ai fini della fiducia, assume rilievo il potere di scelta discrezionale (attribuito al dipendente): potere che, presupponendo pieno affidamento, determina la dilatazione della fiducia datoriale necessaria alla specifica mansione; 3.2. alla dilatazione di questa fiducia astrattamente necessaria, corrisponde la restrizione del comportamento concretamente idoneo ad escludere la fiducia stessa (più ampia è la fiducia necessaria, più limitato è il fatto sufficiente ad escluderla); 3.3. al fine della prognosi sulla futura correttezza del comportamento, ha negativo rilievo il. fatto che il comportamento lesivo della fiducia abbia avuto sensibile protrazione e permanenza nel tempo, in tale quadro assumono significato sia le pregresse violazioni, sia la struttura della singola violazione addebitata, quale comportamento non mome